domenica 13 marzo 2016

Chiesa "Madonna della Neve" (Tagliuno)

Dopo le basiliche costantiniane in Roma, al tempo di Papa Liberio fu costruita sul colle Esquilino la prima chiesa dedicata alla Madonna, rifatta un secolo dopo da Sisto III (432-440) a ricordo del Concilio di Efeso che, proclamando la natura divina di Cristo, riconosceva la Vergine Maria "Madre di Dio". La basilica detta all'inizio liberiana S. Maria ad nives, viene poi denominata S. Maria Maggiore. La nobile famiglia Marenzi, dedicando alla Madonna l'oratorio familiare, volle ricordare qui l'illustre basilica romana. Sorta questa chiesa verso l'anno 1630, data segnata sulla campana assieme al nome di Teseo Marenzi, rimase privata fino a poco tempo fa, quando gli ultimi acquirenti del palazzo già Colleoni, ne fece dono alla parrocchia. Negli ultimi tempi, minacciando rovina, alcuni volontari si impegnarono ad effettuare le necessarie riparazioni. Ultimati i lavori, in attesa dell'inaugurazione ufficiale, la chiesa veniva riaperta per la benedizione degli ulivi la domenica delle palme del 1983. Ha un unico altare con bella tela di anonimo del seicento: la Madonna in gloria con Bambino e ai piedi la sagoma della basilica romana, ha ai lati i santi Francesco e Antonio. Buona anche la piccola tela seicentesca con Madonna e Bambino, sul lato. Bella pianeta antica in damasco - oro a rilievo. Alcune buone tovaglie e camice con pizzo a filet. Particolarmente apprezzate e perciò singolarmente inventariate anche le targhe moderne della Via Crucis dell'artista locale Nicola Seghezzi.



testo: http://www.parrocchiaditagliuno.it/styled/styled-3/styled-27/index.html
Foto: Davide Modina

Vedute di Tagliuno





Foto di Davide Modina, tutti i diritti appartengono all'autore.

giovedì 10 marzo 2016

Castello di Tagliuno



Il castello di Tagliuno venne costruito su un terrazzo naturale lungo il fiume Oglio, poco a sud del nucleo storico. L’edificio, edificato probabilmente nel XIV secolo e sviluppato in altezza su tre piani, presenta una massiccia base a scarpa e gli avanzi di una torre, crollata verso la fine del XIX secolo. La struttura originaria è stata però profondamente alterata da interventi che si sono susseguiti nel corso del tempo; in particolare, tra il XVI e il XVII secolo, al corpo di fabbrica medievale venne addossato ortogonalmente un edificio con porticato e loggia e l’intero complesso venne destinato a funzioni rurali.


testo: http://www.ecomuseovalcalepiobassosebino.it/Patrimonio5.htm
foto: Davide Modina

Cippo confinario (Tagliuno)

Cippo confinario visto da Est
Il cippo si trova attualmente a lato della SP 91, in corrispondeza del confine tra i comuni di Castelli Calepio e Grumello del Monte, Dopo l'ultimo restauro è stato spostato più lontano dalla strada, rispetto alla sua posizione originaria, che è stata segnalata da un incisione a terra. Il cippo, chiamata famigliarmente la Croce, serviva a delimitare il confine Ovest del contado di Calepio, lungo quella che anche all'epoca era un importante strada di collegamento tra Bergamo. il Lago d'Iseo e Brescia.














Cippo visto da Ovest





Incisioni a terra fatte in occasione dell'ultimo restauro

Borgo di Calepio

Gli stanziamenti presso Calepio e i territori circostanti sono testimoniati già in epoche remote: malgrado l’assenza di reperti preromani, lo Zambetti ne ipotizzerebbe origine greche. Certa è la presenza di un insediamento in epoca romana (pagus) di cui sono giunte a noi alcune inequivocabili testimonianze. Tra queste citiamo come significativo una base di marmo bianco, oggi conservata presso il Museo Archeologico di Verona, rinvenuta nei pressi del piccolo colle denominato Broseto o Ambroseto, recante l’incisione “PANTHEO IVUENTI HERMA ET PHILTATE – V.S.LM.” iscrizione variamente interpretata dagli storici ma sempre riferita all’esistenza di un tempietto, convertito in epoca più tarda in Oratorio. E’ recente (1977) il ritrovamento di una tomba longobarda in località Castel Rampino: uno scavo riportò alla luce in questo sito resti umani e oggetti appartenente al corredo di un’armatura riconducibili alla seconda metà del VII secolo d.C. Un documento del 912 riferisce la locazione “in vico Castro Calepio”, mentre in una memoria del 941 troviamo la registrazione di alcuni possedimenti relativi ad una chiesa di S.Maria che potrebbe essere riconducibile al Santuario che ancora oggi è conservato in località Bognatica. Nei secoli XI e XII Calepio è dominio di un ramo collaterale della famiglia Ghisalbertina, la famiglia Martinengo. Verso la fine del XV secolo Calepio si trova al centro della guerra tra Venezia e Milano. Documenti storici ci confermano che nel 1570 perdurava ancora a Calepio l’uso di confermare la promessa nuziale col mangiare e bere insieme dei due sposi in maniera simile alla confarreazione romana. Nel 1843 gli ultimi discendenti dei Conti Calepio lasciarono il castello e tutti i loro possedimenti alle Suore della Carità affinchè costituissero un Istituto Educativo per le fanciulle dei dodici paesi della Valle.



Testo: infonografia nei pressi della biblioteca comunale





mercoledì 9 marzo 2016

Filanda di Calepio

La filanda è situata in località Porto, su di un'area in cui nel Catasto Lombardo Veneto del 1853 è documentata la presenza di un mulino da grano funzionante ad acqua.
Nel 1873 la cessione dell'area alla ditta "Hoffmann Weber & Co" di Basilea determina la demolizione del vecchio mulino per far spazio alla costruzione della filanda. L'attività della ditta Hoffmann prosegue sino al 1887, anno in cui Erminio Neushafer alla guida dell'opifiicio darà inizio ad importanti opere di ampliamento trasformando la filanda di Calepio in una delle più grandi dellla zona e tra le prime dieci della provincia di Bergamo con cinquecento operai e tre caldaie a vapore in dotazione. Nel 1917 la filanda viene ceduta alla Società Elettrica Bresciana e, negli anni successivi, l'immobile cambia pù volte proprietà e destinazione d'uso. La filanda rappresenta un notevole esempio di architettura industriale di fine Ottocento. Interessanti i due corpi di scala interni ancora in discreto stato di conservazione di cui uno appartiene alla filanda originaria ed il secondo posteriore alle opere di ampliamento. Le pedate dei gradini, realizzate in pietra arenaria, testimoniano con la loro forma resa concava dai passi degli operai i lunghi decenni di storia dell'azienda.

La filanda, in primo piano. Sullo sfondo il Castello di Calepio


Manfredi L., Ricerca storica sulla filanda di Calepio, Bergamo

Testo: infonografia adiacente all'edificio

martedì 8 marzo 2016

Luoghi di interesse generale

Scuole medie di Tagliuno
Scuola Elementare di Tagliuno

Poste di Tagliuno



Chiesa di San Rocco

 Leggiamo negli atti della visita di S. Carlo: "L'oratorio di S. Rocco ha due altari. Qui non si celebra. Non ha redditi né oneri. Tolto l'altare, sia chiuso entro tre giorni". E' una storia che si ripete per il cattivo stato in cui si trovano chiese come questa. Si tratta di chiesa pubblica fatta dalla popolazione come invocazione di protezione al santo in tempo di calamità. Negli affreschi già del millequattrocento e soprattutto del millecinquecento (vedi S. Salvatore) spesso troviamo la figura di S. Rocco accanto a quella di S. Sebastiano contro la peste, assai frequente in quei secoli. 


Dove fosse esattamente non ci è dato sapere. Si dice solo che stava dopo il ponte della Valle sulla strada del Porto. E dalla popolazione fu riparata quella come la seguente, che veniva rifatta, circa alla metà dell'ottocento, spostandola verso il ponte per dar luogo al nuovo tratto della strada per Calepio. Nel "libro dei legati in folio Oratorio S. Rocco" della fabbriceria troviamo: "Questo oratorio venne eretto in occasione del morbo del colera nell'anno 1838, fatta allora la devozione di erigerlo con elemosine private; ed attualmente, 1851, i lavori sono quasi arrivati a compimento per ciò che si aspetta a fabbrica". 


Costruita su disegno dell'ingegnere Cancelli su suo terreno (senza passaggio di proprietà del fondo) si compiva il lavoro nel 1852, com'era scritto sul pavimento presso l'entrata. La singolare forma veniva apprezzata anche dall'ingegnere architetto Luigi Angelini nella sua raccolta di disegni (1926). Nell'ancona dell'altare sopra la tela di S. Rocco dell'ottocento, nella lunetta c'è un affresco con Madonna e Bambino al seno (fine '500), tagliato dalla chiesa precedente e qui inserito. Al lato sinistro l'adorazione dei Magi, bella tela del cinquecento, con colori fortemente ossidati. A destra la tela del Ceresa con la Madonna del Suffragio. Buona cassapanca dietro l'altare di marmo, e antico armadio con arredi in sagrestia. La statua di S. Rocco fu eseguita nel 1895 dallo scultore Bettinelli di S. Andrea in Bergamo su bozzetto dell'accademia Carrara.


Testo da:http://www.parrocchiaditagliuno.it/styled/styled-3/styled-26/index.html
Foto: Davide Modina

Biblioteca Comunale "Fra Ambrogio da Calepio"


Targa di epoca fascista che ricorda l'embargo imposto all'Italia dalla Società delle Nazioni
"8 NOVEMBRE 1935 XIV
A RICORDO DELL'ASSEDIO
PERCHE' RESTI DOCUMENTATA NEI SECOLI
L'ENORME INGIUSTIZIA
CONSUMATA CONTRO L'ITALIA
ALLA QUALE
TANTO DEVE LA CIVILTA'
DI TUTTI I CONTINENTI"

Presso la Biblioteca è consercata una copia del dizionario Calepino

lunedì 7 marzo 2016

Chiesetta e Parco degli Alpini (Tagliuno)

Lago d'Iseo dal Parco degli Alpini di Tagliuno



Foto: Modina Davide

Castel Trebecco (Credaro)

Situato su uno sperone roccioso compreso tra il torrente Uria ed il fiume Oglio, il castello sovrasta una piana alluvionale in posizione discosta dal centro di Credaro.
La sua struttura, rimasta sostanzialmente inalterata nel corso dei secoli, è un esempio di come poteva essere una piccola cittadella medievale: presenta una forma a triangolo isoscele con la base, in cui è posto l'ingresso, rivolta verso est. Il lato nord-ovest è delimitato dal corso del torrente Uria, che in quel tratto presenta un profondo alveo che ha sempre garantito inaccessibilità.
L'unico ingresso è costituito da una torre fortificata a base quadrata posta al centro del lato rivolto ad est. Dotata di un'altezza non troppo elevata, presenta una merlatura risalente ad epoche successive alla costruzione originale, ed un portone a forma di arco costruito in pietra di Credaro. Il resto della fortificazione esterna, della quale alcuni tratti e caratteristiche sono andati perduti nel corso dei secoli, è costituita da grossi ciottoli e presenta un'altezza piuttosto limitata, di poco superiore ad un paio di metri.
All'interno si sviluppa un vero e proprio piccolo borgo: subito dopo l'ingresso vi sono numerose piccole corti disposte in modo irregolare, separate tra loro da una piccola strada che taglia in due in modo longitudinale l'intera struttura.

Divenuto centro di una curtis medievale, Trebecco assunse notevole importanza anche grazie alla notevole importanza strategica che ricopriva. A fianco di esso infatti passava un'importante via di comunicazione che da Calepio raggiungeva Credaro, per poi diramasi nelle direzioni di Adrara, Villongo e Sarnico.Probabilmente la costruzione del castello al risalirebbe al X secolo, anche se il primo documento che ne attesta l'esistenza è datato 4 settembre 1032. Si tratta di una disposizione testamentaria nella quale tale Lanfranco da Martinengo riceve in eredità dal padre Lanfranco i possedimenti "infra castro Durbego". La famiglia Martinengo o conti di Calepio ebbe infatti il possesso del castello già in quel periodo.
Questa strada, che collega il borgo al paese di Credaro, è tuttora esistente, anche se relegata ad un ruolo secondario nella viabilità attuale. Inoltre poco distante era presente un ponte sul fiume Oglio, corso d'acqua che ha sempre diviso il territorio bergamasco da quello bresciano, facilmente controllabile dal castello.
La zona quindi si trovò al centro di numerosi scontri tra le due fazioni, soprattutto in epoca medievale: gli episodi di maggior importanza si verificarono il 12 settembre 1392, quando guelfi bresciani della Val Trompia dopo una battaglia con i ghibellini bergamaschi dovettero fuggire tramite il ponte di Trebecco.
In quei secoli all'interno del castello risiedevano i feudatari con i loro massari, con i primi posti negli appartamenti signorili ed i secondi nelle piccole corti. Sempre all'interno della cinta muraria si trovava una piccola chiesa, ora non più esistente, dedicata a Sant'Andrea. All'interno di questa fu anche collocato il corpo di San Celestino Martire, da poco scoperto nelle catacombe romane, in attesa di trasferirlo nel vicino castello di Calepio.
Questo luogo di culto venne poi trasformato in un oratorio privato nel corso del XVII secolo, per poi risentire del decadimento dell'intero edificio a partire dall'inizio del XVIII secolo.
All'inizio del XIX secolo venne stilata, per opera del regime napoleonico, la prima mappa catastale del castello che risulta essere pressoché identica all'attuale.
I proprietari del castello rimasero i conti Calepio fino al 1811, quando cedettero la struttura alla famiglia Zanchi, pur mantenendo il possesso sui campi limitrofi e sul palazzo attiguo. Successivi cambi di proprietà hanno portato ad un frazionamento delle proprietà, che hanno contribuito in modo rilevante al decadimento del borgo stesso, peraltro già in atto dalla prima metà del XVIII secolo.
Un importante intervento di recupero attuato all'inizio del XXI secolo dalle autorità locali, ha permesso al borgo di riacquisire parte del suo antico splendore senza che venisse snaturata l'antica natura medievale dell'edificio.

Castello di Calepio

Castello di Calepio visto da Capriolo
L'origine del castello risale all'anno 1430, come riportato da un'incisione sull'arco d'ingresso. Il maniero, inserito nel borgo medievale del paese di Calepio (fuso nel 1927 nel comune di Castelli Calepio, ma tuttora è parrocchia Arcipresbiterale indipendente e centro del Vicariato) tuttora perfettamente conservato, venne edificato al posto di un precedente fortilizio che, distante poche decine di metri in direzione nord-est, fu distrutto dagli attacchi di Niccolò Piccinino nel 1428 e da successivi scontri nel 1437. I ruderi di questo rimasero visibili fino al XIX secolo, epoca in cui Gabriele Rosa ne diede un'esaustiva descrizione: si trattava di una struttura di dimensioni più ridotte e collocata su un promontorio con burroni che lo cingevano su tre dei quattro lati del perimetro.

Stemma dei Conti Calepio sulla porta d'ingresso
Nel contesto dei suddetti scontri, inseriti nelle lotte tra Milano e Venezia, la famiglia Martinengo, proprietaria dell'antica fortezza e di gran parte dei territori della zona, prese le parti della Serenissima Repubblica di Venezia ricevendo, una volta terminate le lotte con la vittoria dei veneziani, sia l'autorizzazione e l'aiuto economico per la ricostruzione del castello, sia l'investitura feudale delle terre della Val Calepio, assumendo quindi il nome di Conti di Calepio.
Il capostipite del ramo calepino della famiglia fu il conte Trussardo, che diede il via ai lavori del maniero. Inizialmente la struttura fu impostata unicamente per scopi difensivi per trasformarsi poi, con continue aggiunte e modifiche apportate nei secoli, in dimora signorile. Gli interventi maggiori vennero eseguiti tra il XVII ed il XVIII secolo che, cominciati dal conte Orazio da Calepio, videro l'aggiunta di numerose stanze e giardini.
Nel 1842, in seguito alla morte dell'ultimo discendente del casato, l'intera struttura venne donata all' Ente Ospizio Calepio che si prendeva cura delle ragazze dei paesi del circondario appartenenti ai ceti meno abbienti. Questo ente in seguito, mutate le condizioni sociali ed economiche degli abitanti a partire dalla seconda metà del XX secolo, abbandonò la sua missione originale per occuparsi della valorizzazione del castello, promuovendo interventi di recupero ed iniziative culturali, tra cui quella dedicata adAmbrogio Calepio (figlio del fondatore Trussardo I), inventore del primo dizionario latino (detto Calepino).

Tutto il perimetro è delimitato da una cinta muraria costituita da pietre di piccole dimensioni con una merlatura guelfa, più tardi sostituita o integrata con una a coda di rondine quando il maniero divenne residenza signorile.
Il maniero è posto in ottima posizione panoramica sulla valle del fiume Oglio, la quale forma una scarpata che delimita il lato sud della struttura. La parte ovest è anch'essa difesa naturalmente da Cimavalle, mentre gli altri due lati, Nord ed Est, sono invece protetti da un profondo fossato.
Il lato a nord possiede alle due estremità altrettante torri: una di piccole dimensioni ed un'altra a base quadrata, probabilmente già esistente prima della costruzione del castello e successivamente integrata in esso, che è posta a fianco dell'ingresso, a cui si accedeva tramite un ponte levatoio.
A fianco di quest'ultima se ne trova un'altra, anch'essa antecedente al 1430 ed inizialmente esterna al castello. Parzialmente distrutta dagli scontri della prima metà del XV secolo, a partire dal 1433 venne utilizzata come cappella dedicata a San Maurizio ed integrata al resto della struttura durante gli interventi strutturali attuati nella prima metà del XVII secolo.
Questi riguardarono anche l'ampliamento delle mura e l'aggiunta di una nuova ala posta a nord-est a scopo residenziale, nella quale si trovano sia camere con decorazioni ed affreschi di Luigi Deleidi (detto il Nebbia) e tappezzerie francesi, sia un porticato a colonne.

Altri importanti interventi interessarono la zona a Sud-Est che venne dotata di contrafforti nell'area perimetrale, al fine di dotarla di due grandi giardini all'italiana, ed una nuova cappella dedicata all'Angelo Custode ed a San Celestino Martire. Quest'ultima, ricavata da uno spazio tra il ponte levatoio ed il portone, venne costruita tra il 1693 ed il 1695 ed al proprio interno vi venne collocato il corpo di San Celestino Martire, da poco scoperto nelle catacombe romane e precedentemente custodito in modo provvisorio presso il vicino Castello di Trebecco.
Nell'attuale struttura si possono ammirare anche decorazioni di alta qualità in stile rococò e neoclassico risalenti rispettivamente al XVIII ed al XIX secolo, tra cui gli stucchi attribuibili a Muzio Camuzio e gli affreschi di Innocenzo Carloni. Al centro del cortile inoltre fa bella mostra di sé la statua del fondatore Trussardo da Calepio.






Chiesa di San Giovanni Battista (Cividino)

Sorto nella seconda metà dell' XI secolo su un precedente organismo chiesastico di dimensioni più contenute ed abside a terminazione rettilinea, riferibile all'età carolingia, l'edificio romanico è da allora infatti rimasto pressoché immutato nella sua consistenza fisica e nella veste esteriore, come si può verificare dalle murature perimetrali, interessate da una ritmica scansione di campi in leggero sfondato delimitati da lesene e chiusi superiormente da una triplice sequenza di archetti pensili. Lo stesso motivo ricorre nell'abside, in cui si aprono tre semplici monofore a doppio strombo. Il campanile, foggiato quasi come una torre difensiva, alto com'è e dotato di feritoie, è stato annesso alla chiesa in una fase di poco posteriore.
L'interno è rilevante per la ricca decorazione ad affresco che originariamente ricopriva la superficie interna dell'abside e di cui rimangono significativi frammenti datati alla seconda metà dell' XI secolo. In particolare, si notino il velario che orna la base, animato da figure fantastiche, e i motivi geometrici e fitomorfi che riquadrano le piccole monofore e definiscono la fascia inferiore. L'altare eccezionalmente conserva le fattezze e le dimensioni della fase romanica.
Gli ultimi restauri, condotti tra il 1979 e il 1981, hanno lasciato parzialmente in vista, valorizzandole, le tracce archeologiche dell'edificio più antico ed alcune delle numerose sepolture altomedievali, tutte orientate e di forma antropoide, rinvenute durante la campagna di scavi entro e fuori il perimetro della chiesa carolingia.

Foto; Modina Davide

giovedì 3 marzo 2016

Villa Marini (sede comunale)

Sede comunale, la villa appartenne al tenore Ignazio Marini, grande amico e collaboratore di Giuseppe Verdi.


Villa Clorinda fu fatta costruire, dal 1831 al 1835, dal notaio Prospero Marini, padre del famoso cantante Ignazio Marini, al quale è intitolata la via adiacente.
Non si conosce in nome dell’ingegnere progettista, la villa, con il parco circostante di circa 6500 mq, compare segnata in una carta catastale del 1843. Su questa carta appaiano anche due cedri del Libano e una delle due magnolie tutt’ora esistenti.
E’ una tipica villa padronale di campagna. Il complesso comprende:
La villa dove abitavano i padroni
La casa colonica alle sue spalle, dove abitavano i contadini (ora trasformata in un abitazione civile con 12 mini appartamenti)
il ricovero della carrozze e l’abitazione del fattore (che ospita oggi l’abitazione del custode e, fino a poco tempo fa, un centro diurno per anziani).
E’ uno stile tardo neoclassico, tardo perché lo stile neoclassico si sviluppa tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800. Si sviluppa però prima in città, per poi arrivare anche nei paesi.
Caratteristiche dello stile neoclassico sono la facciata rettangolare, sormontata dal triangolo in muratura, che si chiama           ; i tre ordini di colonne al piano terreno, al primo e al secondo piano; la villa è posta nello sfondo del viale del parco e appare quasi come la scena di fondo di un teatro.
La superficie della villa è di circa 250 mq per ogni piano, con due vasti scaloni, al primo e al secondo piano, da dove si accede, si passa, nelle varie stanze; di particolare interesse sono quella a sinistra entrando al piano terra ( era il salotto-soggiorno) con il soffitto finemente decorato e con una bellissima veduta sul parco (ora è sede dell’ufficio anagrafe); la sala del Camino, che era la cucina-refettorio della vialle; le camere da letto al primo piano, soprattutto quelle che ora sono destinate all’ufficio ragioneria e a quella del segretario comunale.
Nel seminterrato è collocata la cantina dove si conservava il vino; poiché essa era rivolata a Sud, e quindi era esposta al caldo, furono costruite, tra la cantina e l’esterno, due ampie vasche, dove veniva convogliata continuamente l’acque delle sorgenti della collina retrostante, così veniva assicurata la provvista d’acqua e la frescura delle cantine.
L’entrata principale era dal cancello del parco, ma si poteva (come si può ancor oggi) entrare in villa anche da via Marini, dove esiste la scaletta in pietra (era l’entrata della servitù e dei contadini)
All’inizio della scaletta è murata una lapida che ricorda il musicista Ignazio Marini.
La villa passò di proprietà dalla famiglia Marini a quella Cadei, alla famiglia Cima e poi Grassi, che, nel 1984, la vendette al comune, che la trasformò nella sede comunale.
Il restauro ha rispettato completamente l’edificio originale (Anche i pavimenti in legno e in graniglia sono stati rimessi al loro posto, così come le porte e le finestre); sono stati fatti di nuovo soltanto i servizi, l’ascensore, l’impianto di riscaldamento e quello elettrico, che per ragioni di sicurezza è stato realizzato all’esterno.
Tra poco, la cantina, diventerà l’aula consiliare, dove si  riunisce cioè l Consiglio comunale per prendere le sue decisioni.
La parte dietro della Villa, verso Nord, era usata come deposito degli attrezzi, dei carri di campagna, come legnaia e piccola serra, come si può vedere anche adesso ha questa destinazione.
Ancora un’occhiata all’ingresso, molto signorile ed elegante, sul pavimento, durante i lavori di restauro, è stato fatto comporre lo stemma comunale.
E così Villa Clorinda, da casa padronale di una famiglia, è diventata la casa di tutti i Cittadini di Castelli Calepio, cioè il municipio, sede del comune.

Foto Davide Modina
Testo: appunti trovati presso la biblioteca comunale "Fra Ambrogio da Calepio".

Chiesa di San Salvatore (Tagliuno)

La chiesetta viene citata per la prima volta nella visita di S. Carlo Borromeo del 1575: “L’oratorio di S. Salvatore, campestre, ha un unico altare non più decoroso. Ha un reddito di venti soldi, senza oneri, che percepisce il rettore; non vi si celebra; tolto l’altare, sia chiusa entro tre giorni.”

È la più antica del luogo, servì sia come luogo di culto, sia da lazzaretto in epoche di epidemie: durante il colera della seconda metà dell’ottocento e nel 1911, come risulta da una lettera del sindaco che la requisisce. Tale uso spiegherebbe gli intonaci sbiancati che coprirono gli affreschi alle pareti, tornati ora alla luce. La data del rifacimento col prolungamento ad est e l'innalzamento totale potrebbe essere quella segnata sull'affresco di S. Fermo: 1644. Nell'altro affresco è raffigurato S. Carlo; il Crocifisso, che stava su pseudo architrave ligneo all'ingresso del presbiterio, ha sostituito la tela irrecuperabile della Trasfigurazione del Marenzi, del seicento
Nel 1979 iniziarono i lavori di restauro e, con il rifacimento  del pavimento, si sono messe in evidenza le fondamenta della chiesa romanica e i resti di un edificio precedente, forse un tempietto romano visto che siamo sulla direzione della strada romana Telgate-lago.

All’interno sono stati riportati alla luce affreschi di varia epoca. All’esterno, sotto la finestra, a sinistra della facciata, si è trovata una tomba in pietra risalente all’epoca più antica della costruzione: quella preromanica. Attualmente la chiesetta romanica viene aperta in occasione della Sagra di san Fermo, raffigurato su un affresco interno datato 1644, il 9 agosto.


Fonti
Foto:
Davide Modina

Chiesa Parrocchiale SS. Pietro e Paolo in Tagliuno


 La prima parrocchiale di Tagliuno fu un’antica chiesa dedicata a San Pietro e solo nel XVII secolo si costruì una nuova chiesa sull’area di un antico oratorio dedicato a San Lorenzo che da tempo fungeva da parrocchiale. La nuova chiesa fu consacrata il 6 maggio 1828 dal vescovo di Pavia, Luigi Tosi, che le trasferiva il titolo di San Pietro apostolo (Pagnoni 1992). 

Al suo interno opere di numerosi artisti tra cui Giovan Battista Moroni (Madonna con Bambino), Francesco Capella (l'Immacolata), Giovan Battista Caniana creatore del pulpito in legno, Carlo Innocenzo Carloni e Giovanni Antonio Sanz, autore della statua della Madonna delle Vigne. La decorazione a stucco dell'interno è opera di Muzio Camuzio.

Il campanile è senz'altro uno dei più belli e originali della diocesi. Il tempietto ottagonale che lo sormonta in stile bramantesco, le sue linee svelte, le armoniche proporzioni e gli ornamenti rivelano il genio non comune dell'architetto di cui spiace non si è tramandato il nome. Venne elevato tra il 1879 e il 1892, su probabile antecedente torrazzo, in pietra arenaria del luogo, cavata al Corno.

Il sagrato è opera settecentesca dei Sanz di Bergamo, la balaustra esterna, posta in origine in simmetria con la chiesa e di più piccole dimensioni, formava ad ovest sulla strada un ampio angolo. Sui pilastri che delimitavano i passaggi, in pietra arenaria, si innalzano eleganti vasi con fiori, frutti e fiaccole, e le statue di S. Pietro e S. Paolo verso il centro, in ceppo gentile di Brembate. Più volte spostata per esigenze stradali, a causa degli asfalti prima, e della creazione dei marciapiedi poi, tutta la base finiva per essere sotterrata e le intemperie fecero il resto per renderla irriconoscibile. Nel 1992 si dava inizio ai lavori si rimozione e riparazione. La ditta I.D.M. di Sarnico sostituiva, nell'esatta forma della precedente, tutta la parte in arenaria, mentre la ditta Arco di Bergamo ripristinava e consolidava i vasi e le statue. In seguito anche il sagrato veniva sistemato a parco e giardino, e tenuto sgombro dalle macchine, che poterono trovare sosta nel parcheggio parrocchiale.

Per una descrizione più accurata si rimanda al sito della parrocchia di Tagliuno